Il business discografico è fatto anche di mode, trends, corsi e ricorsi, chiamateli come volete, quando un disco suscita interesse ed ha successo ecco che tutti cercano di riproporne la formula applicandola in modo più o meno vincente fino alla saturazione ed alla noia, finché qualcuno tira fuori qualche altra novità. Così è stato per il disco unplugged, il disco di covers, il disco di duetti, fino alle edizioni potenziate, deluxe, che tante volte propongono interessanti inediti e molte altre vanno a raschiare il barile fino oltre il lecito.
I dischi dei quali ho voglia di parlare oggi appartengono a quella categoria di pubblicazioni che vedono un musicista della vecchia guardia, in questo caso un "vecchio" bluesman, un padre, uno degli originali, attorniato da tutta una serie di artisti attuali ad impreziosire nuove composizioni ed ammodernare i cavalli di battaglia del titolare del lavoro. Come i vari B.B.King, John Lee Hooker, Albert Collins e via dicendo, anche Junior Wells si è visto assegnare dalla propria casa discografica una serie di eccellenti musicisti, nomi più o meno altisonanti capaci di garantire un'audience più ampia di quella che il leggendario artista avrebbe potuto attirare a sé all'epoca della pubblicazione. Questa in fondo l'idea di base di questo tipo di progetti.
I dischi dei quali ho voglia di parlare oggi appartengono a quella categoria di pubblicazioni che vedono un musicista della vecchia guardia, in questo caso un "vecchio" bluesman, un padre, uno degli originali, attorniato da tutta una serie di artisti attuali ad impreziosire nuove composizioni ed ammodernare i cavalli di battaglia del titolare del lavoro. Come i vari B.B.King, John Lee Hooker, Albert Collins e via dicendo, anche Junior Wells si è visto assegnare dalla propria casa discografica una serie di eccellenti musicisti, nomi più o meno altisonanti capaci di garantire un'audience più ampia di quella che il leggendario artista avrebbe potuto attirare a sé all'epoca della pubblicazione. Questa in fondo l'idea di base di questo tipo di progetti.
Una vera leggenda dell'armonica come Amos Wells Blakemore Jr approda in casa Telarc negli anni novanta e pubblica tre dischi in studio ed un live. Dopo un bypassabile BETTER OFF WITH THE BLUES (1993), arriva EVERYBODY'S GETTIN' SOME (1995) che contiene un blues non ortodosso molto funkeggiante e ricorre al "trucchetto" delle guest appearances, poi COME ON IN THIS HOUSE (1997) che è uno dei più belli di tutta la sua carriera. Il disco è puro blues elettrico ed acustico, registrato con la partecipazione di una serie di superlativi chitarristi slide, nomi come Derek Trucks, Bob Margolin, Tab Benoit, Alvin Youngblood Hart, Sonny Landreth, Corey Harris, i migliori sulla piazza insomma. Col ricorso a talenti del genere e ad autori come Sonny Boy Williamson, Arthur Crudup, Little Walter, lo stesso Wells ma a sorpresa anche Tracy Chapman, ciò che ne viene fuori non può che essere di eccellente livello. Il disco, con il cantato passionale di Junior e la sua magistrale armonica mai invadente, si può considerare quasi una bibbia per aspiranti chitarristi slide e comunque un capitolo da non perdere per tutti gli amanti del blues. Se analizziamo la sua discografia scopriamo che in effetti Amos non ha inciso molto a suo nome, più che altro dischi dal vivo ed altri condivisi col compagno di sempre Buddy Guy. COME ON IN THIS HOUSE si và quindi a piazzare proprio al fianco del famoso esordio HOODOO MAN BLUES (1965 Delmark), disco che fece conoscere al mondo la fenomenale harmonica del grande bluesman e rappresenta il "faro" di tutta la sua carriera. Dall'iniziale splendida rendition della nota That's Alright Mama, una delle più belle versioni ascoltate con un lavoro eccellente da parte di Derek Trucks ed un assolo strepitoso, fino al conclusivo trascinante shuffle di The Goat, ci troviamo catapultati nella casa del blues raffigurata in copertina passando per capolavori come la title track, She Wants To Sell My Monkey o Mistery Train. Molti dei quattordici brani sono fantastici, il suono è maledettamente cool, i chitarristi come detto sono paurosamente bravi e Junior è ancora al top della forma anche se purtroppo pochissimo tempo dopo una grave malattia se lo porterà via per sempre. Questo diventa quindi il suo testamento sonoro, splendido con la sua alternanza di brani elettrici ed acustici, la sua freschezza e vitalità impareggiabili. Dopo quest'ultimo lavoro solo un live (AT BUDDY GUY'S LEGENDS) ed una partecipazione come guest star a BLUES BROTHERS 2000.
Le doti di questo disco sono universalmente riconosciute però mi preme parlare anche del disco di due anni precedente perchè trovo sia ingiustamente sottovalutato. Anche qui tanti ospiti e, come recita il titolo, ognuno ci mette qualcosa di suo per raggiungere l'obiettivo: apertura affidata all'affascinante Sweet Sixteen (Al Green) e poi subito due ospiti eccellenti nella title track, Bonnie Raitt alla voce e la possente e riconoscibilissima slide guitar di Sonny Landreth. Poi Junior spara uno di quei funkettoni che poco piacciono ai puristi e che lo avvicina alle sonorità tipiche del godfather James Brown; l'armonicista è sempre stato un ammiratore di Brown ed ha già affrontato questo tema in gioventù tant'è vero che ripesca brani come You're Tuff Enough e I Can't Stand No Signifyin' da un suo sottostimato album del 1968 intitolato per l'appunto YOU'RE TUFF ENOUGH, al momento quasi introvabile, prodotto ed in gran parte composto da Jack Daniels per la Blue Rock, una sotto-etichetta della Mercury, pieno di funk, fiati e poca armonica, così si disse all'epoca.
Sulla stessa lunghezza d'onda anche Standing On Shakey Ground (TEMPTATIONS), Use Me del grande Bill Withers, una grande e sincopata Last Hand Of The Night e la conclusiva That's What Love Will Make You Do, dalla penna di Little Milton e dallo stile molto simile ad Albert Collins. La sezione fiati è quella dei LEGENDARY WHITE TRASH HORNS (ricordate Edgar Winter?) e la spumeggiante sezione ritmica è composta da Willie Weeks, basso, e Brian Jones, batteria. C'è però un altro ingombrante ospite, che già aveva fatto storcere il naso a molti per le sue comparsate nei coevi albums del re del boogie Mr. John Lee Hooker, ovvero il signor Carlos Santana. Effettivamente la sua chitarra spesso pare appiccicata a forza sui pezzi di Hooker, tra l'altro molto diversi dal tradizionale stile del blueman, ma in questo caso rende benissimo su Get Down, in piena sintonia col resto dell'album. C'è anche lo spazio per due perfetti blues acustici, Keep On Steppin' e Don't You Lie To Me dove torna il grande e classico Junior ed una "normale" Trying To Get Over You.
Grande disco, cercatelo e non ve ne pentirete, un lato della personalità artistica di Junior Wells poco riconosciuto ma ugualmente grande.
G_BARONCELLI
MR. JUUUUUUNIOR WELLS !!!!
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