lunedì 24 settembre 2012

DEEP PURPLE: Abandon (1998) e la fine di un'era

ABANDON: l'abbandono totale alla musica come dichiarò all'epoca della pubblicazione Roger Glover, anche però gioco di parole col fatto che, uniti più che mai ed in splendida forma, i DEEP PURPLE erano all'epoca "a band on" ovvero una band attiva, positiva, giusta. Letto con gli occhi di oggi risulta essere purtroppo anche l'ultimo album in studio prima dell'abbandono di Jon Lord. Il disco è eccellente sotto tutti i punti di vista, composizione, suono, packaging, il migliore dalla reunion, al pari di PERFECT STRANGERS pensai all'epoca della sua uscita e sono ancora di questo parere.
 


IL CD PROMOZIONALE CONTENENTE ESTRATTI DALL'ALBUM ED UN'INTERVISTA


Vedere i DEEP PURPLE oggi dal vivo può avere ancora un senso?
La band è sicuramente affiatatissima, sulle qualità tecniche naturalmente non si discute, Roger Glover è, negli anni, cresciuto sempre più e "on stage" domina con la sua carica ed il suo suono possente facendo coppia con il vero e proprio "mostro" che è Ian Paice, inspiegabilmente ancora al top, oltre i limiti dell'umano. Se analizziamo la storia del rock però dobbiamo constatare che quelli di oggi non sono i DEEP PURPLE ma forse andrebbero definiti come la miglior cover band mai esistita. E' un pò perfido affermare ciò però è la storia che parla. Alla fine degli anni sessanta il beat ed il rhythm'n'blues bianco si stavano pian piano indurendo sempre più, dagli Yardbirds sarebbero nati i Led Zeppelin, dagli Earth i Black Sabbath, dagli Spice gli Uriah Heep, i DEEP PURPLE avrebbero licenziato il "morbido" Rod Evans per rinforzarsi col diamante grezzo che urlava all'epoca con gli Episode Six, il giovane Ian Gillan. La nuova formazione, anche se non la prima, diventò per tutti quella "originale" e fù l'autrice di capitoli fondamentale per tutto il rock inglese. L'elemento caratterizzante di questa band era il marcato dualismo tra chitarra e tastiere, organo Hammond per la precisione, che si davano battaglia a forza di assoli sul palco. Jon portò la band IN CONCERTO, Ritchie li portò IN ROCK, la classica fusa con l'hard rock ed il r&b, quello divenne il loro marchio di fabbrica.
Dopo l'ascesa arrivò però l'inevitabile declino, l'altalenante successo portò a sostituire ancora la coppia basso/voce fino a che, colpo di scena, anche "the man in black" diede forfait non contento dell'avvicinamento al funky e R&B. Come Taste The Band, l'album con l'americano Tommy Bolin è un capolavoro anche se Speed King è Fireball sono lontane, però è la dimostrazione che i ragazzi possono fare grandi cose anche senza Blackmore che non vuole fare musica "da lustrascarpe" come si espresse egli stesso in una forma, diciamo, poco gentile verso la popolazione di colore e la loro musica. Con la reunion del 1984 però appare nuovamente evidente che i DEEP PURPLE sono loro, Gillan, Blackmore, Lord, Paice, Glover e nessun'altro è come loro. Tant'è vero che quando le nuove beghe interne portano ad un tour con Joe Satriani al posto di Ritchie o ad un penoso album con Joe Lynn Turner al posto di Gillan, la delusione è tanta e l'insuccesso pure. Dopo le ennesime furibonde liti tra Gillan e Blackmore e le figuracce sul palco anche documentate nel video di Come Hell Or High Water arriva il definitivo abbandono del chitarrista e la band "rinasce" con l'innesto del migliore axeman sulla piazza, Steve Morse. L'americano è oggi una delle migliori sei corde in ambito hard rock e fusion e dopo un certo periodo di rodaggio insieme, i cinque raggiungono un impatto sonoro superlativo, con una giusta dose di novità e tradizione.





Al primo appuntamento discografico, nonostante l'alta qualità ed indubbia bellezza di alcune composizioni, la differenza col passato è forse troppo evidente, accentuata anche dalla timbrica di Morse completamente diversa da quella di Blackmore, ma con l'uscita discografica del 1998 di cui vado finalmente a parlare, la vetta è di nuovo raggiunta. Sui palchi di tutto il mondo i nostri eroi hanno raggiunto un'intesa perfetta, le scalette dei concerti non sono più costituite dai soliti immancabili hits ma vengono recuperati praticamente tutti i brani che facevano parte dei vari Machine Head, Fireball, In rock, brani che non erano mai stati suonati prima dal vivo, e probabilmente gran parte della responsabilità di tale blasfemia è da attribuire al bizzoso Ritchie. Uno di questi gioielli, la splendida Bloodsucker, viene addirittura riproposta in chiusura dell'album che voglio recensire oggi. E' un grande regalo a tutti i fans, posto a concludere in bellezza un album, lo ripeto, straordinario, che serve anche a dimostrare al mondo ed a Gillan stesso che la sua ugola è ancora in grado di affrontare tali irti percorsi. PURPENDICULAR non è certo brutto ma innanzitutto è agli occhi di molti l'album che presenta l'impostore Morse, poi il suono è completamente diverso dal passato, certe sonoritò proprio non mi piacciono anche se alcune composizioni sono splendide come l'opener Ted The Mechanic che, ricordo, dal vivo accompagnava un pogo scatenato. Grandi anche Sometimes I Feel Like Screaming e Losin' My Strings, superlativa è poi la saltellante Rosa's Cantina, con armonica ed un grande Lord. Ci sono però anche pezzi imbarazzanti e ABANDON è certo un'altra cosa. 
L'apertura è affidata all'aggressivo cantato di Any Fule Kno That, quasi parlato su un riff all'unisono organo/chitarra sorretto dalla possente batteria di Ian Paice, breve assolo, cambio di tonalità e ripetizione ossessiva.
Almost Human ha un andamento simile con una bella e complicata scala che introduce un bell'assolo di Morse.
Splendida atmosfera con Don't Make Me Happy, che alle prime note ricorda When A Blind Man Cries e poi acquista energia con l'espressivo canto di Mr. Gillan. Uno dei brani più belli che fa da preludio a quello che secondo me è il capolavoro del disco, tastiere paradisiache, esplosione con un grandioso riff, tempo tagliato: così si sviluppa Seventh Heaven che dopo un paio di giri di cantato vede un abbassamento, un assolo in crescendo e nuova esplosione sonora fino al finale. Grandiosa e vagamente "progressiva". Cambi di atmosfera anche all'interno di Watching The Sky, un altro picco creativo dell'album. Gillan passa dalla dolcezza estrema all'aggressione più totale mentre i suoi compagni ci danno dentro che è un piacere. Per ora siamo a 5 su 5, "finalmente" arriva un brano che mi piace un pò meno, altrimenti ci sarebbe da preoccuparsi!
Fingers To The Bone mi piace in effetti meno, sopratutto per la scelta dei suoni anche se il pianoforte a metà è grande, anzi dovrebbe durare di più, svilupparsi e crescere. Comunque è il secondo "lento" del disco ed ha il merito di essere costruito in modo originale.
Passiamo alla divertente Jack Ruby con le urla Gillaniane poste su un cadenzato giro blues alla Moby Dick / Rat Bat Blue.
She Was è invece quasi un riempitivo, meglio Whatsername anche se ha il difetto di contenere uno di quei refrain orecchiabili/radio friendly che odio. Nonostante tutto la band cerca sequenze di accordi fantasiose per mescolare un pò la minestra. Torniamo ai livelli iniziali con 69, che racconta di un periodo magico e Gillan si diverte a citare i vari locali che hanno segnato condizionato la sua crescita artistica, in tutto su un riffaccio prepotente, un suono di chitarra magnfico ed un Paice che pesta come un dannato. Evil Louie ha un testo che può essere criptico o nonsense, decidete voi, musicalmente è valida e permette alla sezione ritmica di divertirsi parecchio. Ed ora teniamoci forte perchè il disco, come detto, si conclude con Bloodsucker ammodernata e tirata a lucido, stupenda, quel riff di organo distorto che è il marcho di fabbrica di Lord, gli assolo botta e risposta con un Morse che si arrampica su scale inimmaginabili e l'ultima strofa cantata in un graffiante falsetto che nessuno avrebbe scommesso mezzo penny potesse ancora essere alla portata di Gillan. Invece Ian era addirittura ancora in grado di proporla dal vivo. 10 e lode.

 
ORIGINALE CD SINGOLO SAGOMATO A CELEBRAZIONE DEL TOUR AUSTRALIANO


Questo capitolo discografico e decine di splendide esibizioni dal vivo diedero la prova che anche senza Blackmore i DEEP PURPLE erano ancora una band da vedere con spettacoli dal vivo freschi e vitali come dimostrano anche le diverse pubblicazioni dal vivo. Sono passati altri quattordici anni però ed il punto debole, purtroppo, è oggi proprio la voce di Gillan che non è più in grado di raffrontarsi con lo storico repertorio. Bisogna sinceramente prenderne atto, anche se devo ammettere che solo pochi mesi fa mi sono ritrovato a navigare famelicamente sul web alla ricerca di eventuali date italiane di un prossimo tour perchè mi era nata una certa voglia di rivederli. Se questo non è amore!
Quando il buon Lord prese la decisione di autopensionarsi forse capì quello che gli altri ostinatamente non vogliono ammettere ed arriviamo al quesito che ponevo in precedenza. Mancando Ritchie Blackmore e Jon Lord, siamo sicuri che i cinque che si accingono oggi a pubblicare un altro album siano davvero i DEEP PURPLE?


G_BARONCELLI


Dedico questo articolo alla grandezza di una band del passato ed alla memoria del loro tastierista, il gentile e geniale Jon Lord.
 



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