Quando una serie di elementi si incontrano, poco importa se per un caso fortuito o perchè siano attratti l'un l'altro da qualche ignota energia cosmica, può avvenire il miracolo; l'alchimia tra i vari soggetti coinvolti sprigiona energia positiva, tutto gira alla grande, accadono cose inaspettate ed irripetibili e non è chiaro quanto questo risultato sia cercato e quanto solo casuale. Quando uno dei protagonisti di questa magica storia però si chiama Tom Dowd, noto produttore Atlantic responsabile dei più grandi capolavori di Aretha Franklin, Otis Redding, Allman Brothers Band, Lynyrd Skynyrd, Eric Clapton e via di questo passo, beh, forse proprio un caso non è. Anche perchè l'altro elemento si chiama Ted Horowitz, è nato nel Bronx trentacinque anni prima ed ha da poco vinto un premio come miglior nuovo artista blues, ha già inciso un paio di albums, ha una personalità ed un look prorompenti e tanta voglia di sfondare.
Sono passati un pò di anni da quel 1995 in cui arrivò nei negozi di dischi questo piccolo gioiello stampato nientepopòdimeno che su gloriosa etichetta Okeh (Sony Music). Incuriosito dall'ottima recensione che lessi su Buscadero, mi affrettai ad acquistarlo e subito venni conquistato dalla grande musica ivi contenuta, così diversa da ciò che la copertina poteva lasciar presagire. La partenza bruciante avviene con "Palace of the king" (Leon Russell-Don Nix-Donald Duck Dunn) dal repertorio di Freddie King: accelerata e selvaggia, mette subito in chiaro di che pasta è fatto il "non magrissimo" chitarrista newyorkese che canta anche con grande forza ed espressività. "Looking back" è di Johnny Guitar Watson e la incise John Mayall in un raro singolo (fine anni sessanta, Peter Green alla chitarra). Popa ammoderna il tutto ed esibisce al meglio il suo fraseggio blues come del resto fa nel superclassico "Same old blues" (ancora Freddie King ed ancora dalla penna di Don Nix), piano, hammond ed una Stratocaster da manuale. Le covers finiscono qui, il resto è tutto a firma Horowitz e non è da meno. Ci sono due dei suoi migliori brani di sempre, "Sweet goddess of love and beer", calda, melodica e coinvolgente e "Stoop down baby", funkeggiante come "Anything you want me to do". C'è il roccaccio di "Low down and dirty" e c'è l'ombra di Howlin' Wolf in "Waitin' for the light" e quella di Tom Waits in "Sweat". Un disco senza punti deboli che ricevette consensi unanimi ovunque e, come detto, mi piacque immediatamente al punto che decisi di non perdermi una delle prime apparizioni sui palchi italiani, all'Auditorium Flog di Firenze. Fu un grande show, energico, sudato e bello carico di decibel; i timpani della non foltissima platea ebbero di che bearsi quella sera ed alla fine ci fu anche il regalo di "Rock'n'roll" di Zeppeliniana memoria. Teddy fu piuttosto disponibile after the show e firmò autografi a tutti, scambiammo due battute e mi diede l'impressione di essersi veramente divertito.
il booklet di HIT THE HIGH HARD ONE autografato
Una buona testimonianza di quel periodo è l'ottimo HIT THE HIGH HARD ONE, registrazione dal vivo con l'unico difetto di sfumare dopo soli 67 minuti, che ricorda abbastanza lo spettacolo che vidi a Firenze. Il disco si apre alla grande con "Heartattack and vine" di Tom Waits e prosegue con l'esplosiva "Trail of tears". Non mancano il blues lento di "Long distance pain", lo scatenato swing (Bugs Henderson style) di "Caffeine and nicotine" ....two of my favourite things....la presenta l'amico, la dylaniana "Isis" e la littlewinghiana "San catri". La bomba finale la sgancia con "Wild thing" uno dei riff più hendrixiani mai interpretati dal mancino di Seattle seppur scritta da mr. Chip Taylor.
21 Febbraio 2003, JUX TAP, Sarzana (SP)
L'ho rivisto diverse volte, Jux Tap o Pistoia Blues Festival, e sempre si è confermato quello che si dice un animale da palcoscenico anche se probabilmente spesso esagera in alcune cose.
La magia non dura in eterno e mai più, fino ad oggi, lo spavaldo chitarrista si è avvicinato a questi risultati; solo qualche buon brano sparso qua e là nell'ormai copiosa discografia, buone sicuramente le prove dal vivo, ottimo quel LIVE IN NEW YORK CITY del quale ricordo una stupenda "Walk on the wild side". Difficilmente però la qualità è direttamente proporzionale alla quantità e di dischi marchiati Popa Chubby ne sono veramente usciti a dozzine, da solo o con la moglie Galea, in studio o dal vivo, tributi ad Hendrix e dischi di hard rock. Popa si autoproduce, si autocelebra, ha una sua casa discografica e dal vivo è solito esibirsi anche con un assolo di batteria (ma lascia perdere!!!). Peccato, Tom Dowd non c'è più, Jim Dickinson neanche, chi potrebbe riportarlo sulla retta via?
G_BARONCELLI
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