martedì 28 febbraio 2012

RAGING SLAB: SOUTHERN GEM

Tutto quanto scritto per introdurre la recensione di "Booty and the beast" di Popa Chubby (vedi) riguardo l'importanza del produttore può valere per i RAGING SLAB, band hard sudista dalle alterne fortune. Nel corso della loro venticinquennale altalenante carriera sono riusciti a pubblicare  alcuni degli albums più brutti che io abbia mai sentito alternati ad almeno un paio di capolavori in ambito rock sudista. Partiti come quartetto hard abbastanza anomalo visto che la seconda chitarra è una slide ed è affidata a Miss Elyse Steinman, incidono per la BUY OUR RECORDS, piccola etichetta indie orientata verso il punk e l’hard, il primo interessante lavoro intitolato ASSMASTER, vinile pubblicato in un’attraente versione che vede i nostri raffigurati come personaggi di un fumetto ed include infatti un comic-book di venti pagine. Il principale compositore è il cantante e chitarrista Jagory Slab che solo più tardi si firmerà col proprio reale ed impronunciabile nome (Gregory Strzempka), gli altri sono Alec Morton al basso e Tim Finefrock alla batteria: la musica è tutto sommato piacevole, è ben diversa dalla marea di american metal che và per la maggiore all’epoca ma tutto sommato non lascia più di tanto il segno. Strutturalmente ci sono già alcune delle caratteristiche genetiche del gruppo ma non vi è nulla di memorabile, non splende neanche la “Shiny Mama” che anni dopo splenderà sull’omonimo inciso per la RCA.
La BOR rinnova il credito con la pubblicazione di un 12 pollici che contiene la grande Get Off My Jollies, con un gran lavoro della sezione ritmica (Kenny Kness alla batteria) e trascinanti assoli e cambi di tempo, la bruciante Shrivel e la movimentata I Heard The Owl. La band è pronta per il grande salto con una major in grado di fornire il budget necessario per assicurarsi un buon produttore, ottimi arrangiamenti ed un sound spettacolare. Gli SLAB si presentano oggi come un quintetto di moderni cowboys dopo l’innesto di un terzo chitarrista, Mark Middleton, e l’arrivo di un nuovo batterista nella persona di Bob Pantella che però praticamente non suona nel disco visto che dietro le pelli troviamo due assi come Tony Scaglione (SLAYER) e Steve Wacholz (SAVATAGE).  Il New York Post scrive: i LYNYRD SKYNYRD incontrano i METALLICA nel debut-album di una delle più calde hard rock bands della nostra città, grande nome ed intenso guitar sound. I cinque sono completamente immersi nella nascente seventies mania ma, ciò che più conta, i pezzi sono davvero spettacolari. Il disco è di quelli da ascoltare e riascoltare dall’inizio alla fine sempre con la voglia di ripartire dall’inizio, la proposta è veramente esaltante ed è un peccato che uno dei migliori albums della decade non abbia venduto quel tanto da garantire una continuità in casa RCA. E pensare che Greg, imitando quello che Ronnie Van Zant e soci fecero tanti anni prima, amava proporre dal vivo una cover della band sudista ribattezzata “Workin’ for RCA”.
Disco da 5 stelle dicevo che si apre con una splendida Don’t Dog Me, dalla possente sincopata ritmica metal e dal facilmente memorizzabile refrain. Il muro di suono ricorda in effetti più da vicino quello dei MOLLYS piuttosto che gli SKYNYRD (Waiting For The Potion), ci sono assoli di dobro, le preziose backing vocals del divino ed indimenticato  Ray Gillen nella nuova versione di Shiny Mama, l’aggressivo micidiale attacco di Get Off My Jollies in puro Savatage style, la tradizione western in una delle mie preferite, Geronimo, la sabbia del deserto nella splendida Bent For Silver che fu ottimamente promossa con un video che si rifaceva al cult  FASTER PUSSYCAT KILL KILL del “mago del cinema” Russ Meyer.


Questi sono senz’altro gli anni migliori per la formazione americana e dispiace constatare che l’album successivo, FROM A SOUTHERN SPACE, non vide mai la luce. La versione che ascolto certo è costituita da demos ma almeno quattro degli otto pezzi registrati sono di ottimo livello: Pretty Little Foot e la splendida Laughin’ And Cryin’ proseguono il discorso intrapreso col disco precedente spingendosi ancora avanti, verso un suono ancora più personale, questo è il marchio di fabbrica del gruppo, avvertibile anche in Full Moon Pull e This Is Not A Story. Sul resto ci sarebbe da lavorare, Woe Is Me ad esempio potrebbe essere arricchita da un organo Hammond e da backing vocals ben fatte, gli altri pezzi andrebbero senz’altro rivisti ma una chance per la pubblicazione il lavoro avrebbe dovuto averla. Invece niente. I cinque vanno comunque avanti, scrivono altri pezzi e registrano altri demos ma la RCA ancora non è disposta a pubblicare un altro album, FREE BURDEN. Il disco, che avrebbe dovuto uscire con una grafica nel più classico MOLLY HATCHET’s style si apre con un’autentica bomba, una cover di We’re An American Band dei GRAND FUNK RAILROAD. Ehi, i ragazzi picchiano duro, sprizzano energia da tutti i pori e non si limitano certo a coverizzare un grande classico, mettono sul piatto una grandiosa Anywhere But Here, Human Cannonball e tutta una serie di classici incredibilmente freschi e personali. La voce di Strzempka stupisce per l’incredibile ruvidità che esibisce in Run Down Sun ma stavolta arrivano anche le influenze del più classico suono country americano nelle splendide So Help Me e Lynne, due dei miei pezzi preferiti in assoluto, con tanto di violino e banjo. Non è possibile che un disco così non arrivi sugli scaffali dei negozi, si capisce invece perché la gente non compra più dischi.
Ma finalmente arriva il 1993, arrivano Rick Rubin, la sua DEF AMERICAN e la magica mano di Brendan O’Brien che si piazza dietro alla consolle e modella le splendide composizioni di Greg Strzempka lucidandole a specchio, belle pronte per il loro disco migliore, DYNAMITE MONSTER BOOGIE CONCERT, un vero spettacolo pirotecnico. Dopo quanto scritto per FREE BURDEN è difficile trovare ulteriori aggettivi per descrivere la qualità e la bellezza delle canzoni. Alcuni pezzi infatti provengono proprio da quelle session, in più viene recuperata Laughin’ And Cryin’ dall’altro lavoro non pubblicato. Grazie alla produzione il suono è veramente sfavillante e tutto è al posto giusto, la promozione è buona, Take A Hold e Pearly sono due bellissimi singoli che uniscono tradizione ed energia e vengono pubblicati in edizioni arricchite da inediti e brani live.


 
 

DYNAMITE MONSTER BOOGIE CONCERT rappresenta, insieme all’album su RCA, la vetta artistica del chitarrista-cantante di origini polacche e proprio da qui riparte il mio racconto. Questi album sono due vere e proprie pietre miliari nell’ambito della produzione del nuovo southern rock, quello reso di nuovo grande da BLACK CROWES, SCREAMIN’ CHEETAH WHEELIES, GOV’T MULE, GEORGIA SATELLITES, WIDESPREAD PANIC, NORTH MISSISSIPPI ALLSTARS, gente che non necessariamente deve essere nata al sud, che non ricalca pedissequamente le classiche strutture skynyrdiane che decretarono il progressivo prosciugamento dell’ispirazione della generazione precedente, che non espone vessilli ribelli e pistole ma rinnova il caldo sound sudista filtrandolo con suoni moderni, ognuno a suo modo con elementi psichedelici, funky, blues, tanta improvvisazione, passione e sudore.
Forse gli SLAB neanche se ne rendono conto, forse sono stati spinti su quella strada da altri visto che, d’ora in avanti, sembrano volersi allontanare a tutti i costi da quello spettacolare suono. Forse se le finanze dell’etichetta di Rick Rubin, che nel frattempo ha cambiato nome in AMERICAN RECORDINGS, potessero garantire ancora di lavorare con Brendan O’Brien o George Drakoulias qualcos’altro di buono sarebbe venuto fuori, invece no. Il gruppo presenta una decina di pezzi per un nuovo ipotetico album, titolo BLACK BELT IN BOOGIE ma la sfortuna che già per due volte gli ha tarpato le ali in passato si ripresenta tramite un altro bel rifiuto da parte di Rubin. Beh stavolta se la sono proprio cercata! Sembra di sentire un altro gruppo, il suono anche se non definitivo trattandosi di demo è sconcertante. Econoliner in apertura potrebbe essere uno dei loro classici boogie ma le chitarre sferraglianti, alcuni effetti sulla voce, l’applicazione di un terribile simil-wah e la ripetitività non lasciano scampo: Deluxe è una specie di ballata dal suono terribile, voglio dar loro una chance e, con tanta immaginazione, provare a pensarla ben ripulita e guidata magari da un paio di chitarre acustiche e forse si salverebbe. Proporre un brano come Smoke Dance deve comportare una bella dose di faccia tosta, in Pete Best oltre ai suoni minimal riescono ad inserire anche un’armonica “infantile”, un vero schifo. Soprassediamo sul resto.



Ben decisi a proseguire la loro personale battaglia contro la piacevolezza ed il buon senso, Strzempka e Steinman (nel frattempo Middleton se n’è andato) attentano alla salute dell’ipotetico ascoltatore riuscendo a farsi pubblicare SING MONKEY SING che fortunatamente esce piuttosto in sordina (tra l’altro con una copertina abominevole) ed in pochi se ne accorgono. Nei successivi quattro anni nulla arriva nei negozi di dischi ma poi, nel 2001, la TEE PEE RECORDS, specializzata in stoner, mette sotto contratto il quartetto che registra nel personale studio THE DEALER, utilizzando ben tre batteristi diversi (fin’ora ne avevano già cambiati una bella serie). Il disco viene pubblicato anche in una bella edizione in vinile con copertina apribile e la band è adesso ben inserita nel circuito stoner/alternativo e lontana da quei territori sonori rifacenti alla tradizione americana nei quali si erano avventurati in quello splendido periodo di inizio ’90. La qualità stavolta è buona, purtroppo la strada ormai è quella dell’autoproduzione e delle scelte autoctone per cui, anche se stavolta più brillante, il marchio di fabbrica è ormai quel ruvido sferragliante suono che certe volte proprio non mi và giù. Il cinquanta per cento delle composizioni comunque gira piuttosto bene; i MOLLY HATCHET tornano in Too Bad e le influenze southern in That’s Alright o Double Wide, forse la composizione migliore. Trascinante l’opener Here Lies. Non male neanche That Ain’t What I Mean e Sir Lord Ford appesantita però dal medley con un oscuro pezzo dei BLACK OAK ARKANSAS. Il resto và avanti tra alti e bassi con punte verso il basso nei due pezzi purtroppo affidati alla voce di Elyse Steinman che fanno calare di un paio di punti la valutazione globale. L’anno seguente sembra quello della svolta quando i quattro si ripresentano con un disco che richiama nel titolo e nella grafica il debutto dei LYNYRD SKYNYRD: Pronunced Eat Shit è graficamente un clone di Pronunced Leh-nerd Skin-nerd con i quattro vestiti con jeans, velluto e frange ed il retro col pacchetto di sigarette. Presi dall’entusiasmo ci si tuffa nell’ascolto dei tredici brani ma come la musica parte ci si rende conto purtroppo che il disco è ancora farcito di quei brani lenti e strascicati, suoni ruvidi e colpo di grazia le lead vocals qua e là della Steinman, nel complesso un passo indietro rispetto al predecessore.
I RAGING SLAB sono purtroppo finiti da anni anche se ostinatamente ed avidamente mi sono procurato ogni loro uscita discografica. Per chi non li conoscesse consiglio caldamente di procurarsi DYNAMITE MONSTER BOOGIE CONCERT e RAGING SLAB (recentemente ristampato), due pezzi da novanta che sempre mi rimarranno nel cuore, evitando accuratamente il resto.

G_BARONCELLI


Per completezza cito il fatto che Greg Strzempka per un certo periodo si unì come frontman ad un gruppo scandinavo autore di uno spettacolare album di super heavy southern rock, BACKDRAFT la band, HERE TO SAVE YOU ALL il disco. Greg dapprima cantò con loro dal vivo, poi cambiarono il nome in ODIN GRANGE, poi tornando all’origine hanno pubblicato ad oggi altri due dischi.
Nella seguente discografia ho volutamente omesso i CD singoli promozionali privi di copertina.

 
 
 

martedì 7 febbraio 2012

TRAPEZE: WE'RE JUST THE BAND

LIVE IN TEXAS, DEAD ARMADILLOS è uno di quei grandi albums dal vivo che tutte le grandi bands pubblicarono a partire dai primissimi anni settanta fino a circa metà degli ottanta. L'avvento del CD poi ha interrotto la grande tradizione dello spettacolare "doppio LP" live; il doppio era un traguardo importante ed era molto più impegnativo del classico long playing che poteva durare anche poco più di mezz'ora, per pubblicare un live poi bisognava avere un certo repertorio che giustificasse tale pubblicazione e che non facesse calare la tensione sulla lunga distanza. Tutte le grandi bands l'hanno fatto, non tutte sono riuscite a riportare la loro grandezza su vinile (vedi ad es. LED ZEPPELIN) altri sono riusciti ad entrare nella leggenda (DEEP PURPLE ed ALLMAN BROTHERS BAND, i due doppi più belli di tutta la storia del rock).
Ci sono tanti altri esempi, LYNYRD SKYNYRD, UFO, BOB SEGER, NEIL YOUNG, IRON MAIDEN, URIAH HEEP. QUEEN.
Tanti altri si sono accontentati di un singolo LP come nel caso del gruppo che prendo in esame oggi, TRAPEZE, splendida e misconosciuta hard rock/funky band inglese, guidata dal chitarrista Mel Galley e trampolino di lancio per ottimi musicisti finiti poi in ben più importanti bands. Il batterista originale Dave Holland entrò nei JUDAS PRIEST, il cantante/bassista Glenn Hughes nei DEEP PURPLE, lo stesso Galley si unì ai WHITESNAKE. Per qualche anno militò nel gruppo anche il cantante Pete Goalby prima di andare ad impreziosire lo stupendo Abominog degli URIAH HEEP; è proprio lui il frontman in questo splendido live registrato all'Opry House di Austin TX nel Maggio 1981, accompagnato dal chitarrista fondatore e dalla sezione ritmica costituita da Pete Wright basso e Steve Bray batteria.




L'album uscito su AURA RECORDS è stato ristampato nel 1996 dalla benemerita SEE FOR MILES e, come il resto della discografia originale, non è così facile a trovarsi ma se doveste imbattervi casualmente anche nella ristampa in CD non fatevelo scappare perchè ne vale la pena. Feeling, sudore, ottima tecnica, grande voce, validissimo chitarrista, entusiasmo, sono tutti gli ingredienti di questi 42 minuti di rock'n'roll intriso di funky nelle splendide "Way Back To The Bone" dalla penna di mr. Hughes e "Midnight Flyer", nella song manifesto "Black Cloud", nell'ottima "Hold On" che ricorda tantissimo lo URIAH HEEP style di un paio d'anni dopo, e nella epica "You Are The Music ... and we're just the band" del '72.
LIVE IN TEXAS, DEAD ARMADILLOS è uno di quei grandi albums dal vivo di cui parlavo in apertura solo che pochi lo conoscono, un disco diretto ed onesto per chi non si accontenta di bersì solo quello che propina il mercato, vale la pena cercarlo.


G_BARONCELLI